Chiudiamo alla grandissima la “trilogia del denigratore” con le odiatrici della mimosa. Un tema di genere che, in genere, si concentra sulla denigrazione, olfattiva e simbolica della mimosa. Diciamocela tutta fuori dai denti: arrotare il fiore pare più importante del giorno di festa, fra invidie covate e ammirazioni sperticate delle altre donne, in mezzo, quale corpo contundente è d’obbligo puntualizzare che puzza, parecchio di retorica, forse perché appare come un dono forzato. Passando in cavalleria le lotte, le conquiste, gli obiettivi per la parità, la dignità e il rispetto nei confronti di tutte le donne. Ogni invettiva necessita di una chiave di lettura, qui facilissima per quanto scontata: “le donne vanno festeggiate tutto l’anno, per tutta la vita”. Pertano ci vogliono dei gesti concreti! Dietro la mimosa, per la verità, ancora e sempre esiste una simbologia, piaccia o non piaccia, come nel quadro stupefacente di Pierre Bonnard “Atelier au mimosa”: il concetto fondamentale esplicitato in sentito ringraziamento sul menomale che ci sono le donne, sennò sai la noia e la mestizia. Oltretutto, se proprio la mimosa resta sul gozzo, basta un fiore, meglio due o tre (business is business). E i gesti concreti? Ripassare dopo l’8 marzo.